giovedì 20 marzo 2008

È estate, Mapang! (3)


Gli allievi Elettropalli terminarono il giro trionfale con Mapang sulle spalle. Ma lui, invece di lanciare baci alla folla in delirio, guardava l’arco buio dov’era sparita Zivelianna qualche minuto prima, come se il solo guardare potesse farla tornare indietro…
«Alla fine ce l’hai fatta, filippin de merda!». Il ruggito con il quale l’omone accompagnò la tremenda pacca sulle spalle pareva il verso degli ultrabufali redivivi. Invece era solo Sbrego, il capo della Ti-Con-Nu, la mannerbund più importante del tifo veronese.
«Sono più italiano di te, Sbrego, non spaccarmi le palle, oltre alla schiena. Mi chiamo Mapang perché…».
«Bah… filippini, negri, romani… tutti uguali!» gridò, ma poi abbracciò Mapang in una stretta da orso, tutto contento. «Grazie, camerata! Oggi ti me gà dato una gioia grande: quei bastardi dei veneziani avevano scommesso un mese di Servaggio che finivi spiattellato nei primi cinque minuti della sfida».
Mapang lo guardò dalla testa rasata (una ventina di centimetri sopra la sua) alle Doc Marten’s sformate: «E voi avevate scommesso che avrei vinto?» gli chiese sbalordito.
«Ma va’ in mona, mato!» rispose Sbrego mollandogli un’altra pacca tremenda. «Avevamo puntato sul tuo spiattellamento dopo sei minuti!».
Tra una pacca e l’altra, Mapang era finito davanti alla garitta dei Maestri dei Giochi, dove avrebbe dovuto ritirare i Crediti vinti. I tre Maestri, però, guardandolo dall’alto in basso (non per la statura, ma perché rimanevano comodamente seduti dietro le finestre in cima alla garitta) gli dissero che la vincita era stata bloccata dai boss della Confraternita, che la reclamavano a copertura di un certo credito che avevano con Mapang.
«Ma i Crediti che ho vinto oggi valgono tre volte il debito che ho con loro! Quel carico…».
«A noi non interessano carichi e valori. Mi dispiace, ma è la regola» rispose l’Arbitro, cioè il Maestro più anziano. Quindi richiuse la garitta, dichiarando concluso il colloquio.
«Brutto bastardo incartapecorito!» gridò Mapang cominciando a scalare la garitta. «Non è mai esistita una regola del genere! Dammi i miei Crediti! Voglio i miei Crediti!» cominciò a gridare, prendendo a calci la porta in cima alla struttura di legno.
Suonò una sirena.
Dallo stesso arco buio nel quale era sparita Zivelianna, uscì uno squadrone di celerini che puntò dritto alla garitta dei Maestri. Manganelli in mano, una metà degli sbirri cominciò a scalare la struttura di legno per tirare giù Mapang, mentre l’altra metà cercava di tirare giù Sbrego, che da parte sua tirava calci in faccia a tutti quelli che si avvicinavano troppo. Alla fine, però, il numero ebbe la meglio sul mostruoso capo dei Ti-Con-Nu. Fu allora che le mannerbund dei tifosi assiepati sulle gradinate dell’Arena (i veronesi, ma anche i veneziani, che inaugurarono così il mese di Servaggio) con un urlo bestiale si riversarono sul campo di gioco prendendo d’assalto i celerini e sradicando la garitta. Mapang piombò al suolo con la porta ancora in mano. Sotto di lui si contorceva l’Arbitro, piangendo fratture multiple: l’unico arto ancora sano era la mano destra, e con quella stringeva avidamente il sacchetto dei Crediti reclamati dalla Confraternita; sulla pelle grinzosa del polso aveva un tatuaggio bluastro: era il tubo Farson, stemma degli Idraulici della famiglia Biancalana, proprio quelli che gli avevano fatto perdere il carico della Confraternita.
Con un sorriso felice, Mapang, gridando «molla l'osso!» calò la porta sul braccio residuo del vecchio Maestro dei Giochi e finalmente ottenne insieme il meritato premio e una piccola, gustosa, vendetta. Poi, con il sacchetto infilato sotto il giubbotto, svicolò carponi per qualche metro, quindi corse via dagli scontri e, infilandosi nell’arco buio, riuscì infine ad uscire dall’Arena, dalla quale già si levavano alte colonne di fumo.
Su Verona splendeva un sole stupendo. Sul petto, Mapang sentiva il confortante spessore dei Crediti vinti. Dentro il petto, però, nessun sacchetto sarebbe riuscito a riempire la voragine aperta dall’immagine di Zivelianna che se ne andava a testa bassa.
«Sono un fesso» disse scuotendo la testa, mentre cominciava a scendere le scale della metro direzione Giroaltro.
«Poco ma sicuro» pensò un tipo vestito di nero, alle sue spalle, «poco ma sicuro».
Ma disgraziatamente la lettura del pensiero non era una qualità in cui Mapang eccelleva.

(fine della terza puntata)

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