martedì 11 marzo 2008

È estate, Mapang! (1)


Aveva parcheggiato in un vicolo dietro al ristorante cinese di Zio D, vicino ai cassonetti dell’immondizia. Troppo vicino, probabilmente, ma se ne era reso conto quando ormai le porte della metro si erano chiuse dietro di lui…
Non che un ferrovecchio come il suo potesse attirare chissà quanti sguardi, no. Ma in quella zona le mannerbund degli Esterni erano da tempo impegnate in una gara demenziale a chi bruciava più cassonetti, e a farne le spese erano fin troppo spesso le autofly parcheggiate nei pressi. «Un giorno o l’altro mi lascerà a terra» pensò guardando le gallerie buie scorrere veloci dai finestrini del vagone, «ma finché dura…». Poi fece spallucce. «Tanto ormai è tardi».
In effetti era tardi per molte cose, non solo per mettere al sicuro un ferrovecchio come la sua Panda Millennium che, a ben pensarci, avrebbe non solo potuto lasciarlo a terra, ma anche («cazzo, è vero!») grippare mentre stava a mezz’aria, il che sarebbe stato ben più fastidioso che non ritrovarsi a piedi per colpa dei giochi pirotecnici di quei minus habens dei giovani Esterni.
Troppo tardi per molte cose, dicevamo. Perché - quello era il problema vero - tempo dieci fermate e avrebbe saputo di che morte doveva morire. «Ah! Morte… magari fosse…». In effetti, per uno come Mapang, perdere un carico poteva significare qualcosa di peggio della morte. Di notevolmente peggio, a ben vedere: quel poveraccio di Ro-Girge era stato scorticato per molto meno. Alla Confraternita non piaceva rinunciare al materiale, e di solito non perdeva tempo a fartelo notare.
Mapang guardò la propria faccia specchiata nel finestrino e fece un sorriso sbilenco: niente di che, come ripeteva sempre Zivelianna, prendendolo in giro, ma a quella faccia c’era abituato e gli sarebbe scocciato non poco doverci rinunciare.
Zivelianna… avrebbe fatto bene ad ascoltarla, invece di fare il paraculo con quelli del Biancalana: «Lasciali perdere» aveva detto lei salutandolo davanti all’Arena, «con gli idraulici non si fanno affari. Vedrai che ci perdi i denti e qualcos’altro».
Ma com’è che dicevamo prima? Adesso è tardi. Per questo, quando scese alla fermata di Giroaltro, accalcato nella folla di turisti, si ritrovò a sperare che l’arrivo dell’estate portasse un po’ di buonumore ai boss della Confraternita. «Magari, se mi presentassi con un pensierino…». A quel punto Zive si sarebbe rotolata a terra dalle risate. «Bah! Sono stato un pollo fatto e finito. Adesso dovrò inventarmi una scusa credibile, altro che pensierino!». Facile a dirsi, ma inventarti una scusa con gente che ti legge dentro la testa come sulle pagine del Pamantul risulta alquanto ostico, poco ma sicuro.
E con questa perla di saggezza, si avviò a testa bassa verso il Palazzo, che svettava a un centinaio di metri dall’uscita della metro.
Quando fu il momento di mettersi in fila ai cancelli per la timbratura vocale, però, Mapang ci ripensò: «E no, cazzo! Sarò pure un pollo, ma io non ci vado lassù a farmi spennare». Quindi continuò a camminare, e all’improvviso, come se il solo fatto di disubbidire gli avesse tolto il peso dal cuore, tutto gli fu finalmente chiaro: «Torno all’Arena e rivinco il carico».
E stavolta, mentre ripercorreva la strada che lo avrebbe portato di nuovo sotto la metro, la testa non era bassa. Anzi, se ne stava con il naso all’insù, guardando le autofly di nuova generazione che sfrecciavano tra le guglie di Giroaltro: «Magari domani me ne compro una anch’io», pensò. Perché la decisione che aveva preso, per quanto assurda fosse (più che assurda suicidale), gli aveva fatto tornare a galla il vecchio buon umore. E sulle scale della metro, fermata Giroaltro direzione Arena, prese a fischiettare la canzone di Zivelianna.

(fine della prima puntata)

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